La gestione politico-istituzionale della pandemia rende più evidenti alcune delle contraddizioni della nostra società.
Da quando è apparso il Covid, figlio della pandemia da Coronavirus, nulla è più come prima. Il lock down è stato soltanto un punto di partenza, ora tutte le lacune strutturali della nostra società sono esplose in mille contraddizioni. Da Verona un altro esempio. La via che ufficialmente ospita le persone senza fissa dimora di Verona è intitolata a Olimpio Vianello, la cui storia si aggiunge alle numerose pagine di cronaca nera dense di violenza che hanno avuto come teatro la tanto proclamata “città dell’amore”.
Olimpio, soprannominato “El Crea”, era un distinto signore di 73 anni che, la notte dell’8 dicembre del 1990, dormiva nei pressi del volto tra la piazza del Tribunale e la chiesa di Santa Maria Antica. Proprio lì venne ammazzato, picchiato selvaggiamente da tre ragazzi, due minorenni e un diciottenne. Quest’ultimo varcò la soglia del carcere soltanto 22 anni dopo, con una condanna a 10 anni e mezzo di reclusione. L’iniziativa di nomina della residenza fittizia, intitolata a Olimpio, nasce dalla volontà dell’associazione Avvocato di Strada, che opera su tutto il territorio nazionale a favore del diritto alla residenza delle persone senza fissa dimora. Luigi è un ospite di lunga data. Come gli altri, ha passato un periodo molto difficile durante la pandemia.
Durante questo infausto periodo, gli avvocati hanno accolto le richieste di ricorso alle sanzioni amministrative inflitte dalle forze dell’ordine a moltissime persone che, non essendo in possesso di una residenza, non erano chiaramente in grado di ottemperare all’intimazione di “rimanere a casa” imposta dagli innumerevoli decreti legislativi emanati in questi mesi. Al cambiare del colore della nostra regione, queste persone si sono trovate più o meno severamente “fuori legge”, per il solo fatto di occupare il suolo pubblico, violando le restrizioni imposte, senza però che le istituzioni offrissero loro una concreta e definitiva alternativa alla strada.
Inesorabile ritorna il tema della residenza, requisito che segna una linea di demarcazione che distingue le vite al margine, al limite della vita normata e universalmente definita come degna, cioè all’interno di mura domestiche. La pandemia ha aumentato considerevolmente la quantità di persone costrette a vivere per strada, sia di nazionalità italiana che migranti. Non si tratta solo di immigrati irregolari e senza tetto, ma anche di tante famiglie che hanno perso il lavoro e non hanno potuto rinnovare la tessera sanitaria perché hanno perso la casa. Bisognerebbe pensare a un’accoglienza vera, perché queste persone non possono vivere per strada. Solo una delle mille contraddizioni dell’era post pandemia.
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