Eric Gobetti bollato dalla città di Verona come ‘negazionista delle Foibe’: non se ne può parlare da un punto di vista storiografico.
Invitato a discutere sulla storia del confine orientale italiano in occasione del Giorno del Ricordo, lo storico Eric Gobetti da subito è stato vittima di ripetute accuse da parte di chi governa la città, di alcuni media locali e dei gruppi di estrema destra. Lo studioso, che in quanto esperto del tema avevamo già intervistato lo scorso anno, è stato bollato come “negazionista delle foibe” perché a Verona di questo tema, secondo l’amministrazione, non si può discutere da un punto di vista storiografico.
L’accusa è piovuta in primo luogo dai social network di alcuni gruppi giovanili neofascisti. Esibendosi in foto con pose machiste, insulti all’aspetto fisico di Gobetti (definito “sociopatico e disturbato”) e minacce di mail bombing contro un istituto scolastico, hanno dichiarato che a Verona non c’è spazio per queste discussioni. Il consigliere comunale Andrea Bacciga ha criticato a sua volta, da siti d’informazione locale, la presenza dello storico Gobetti contestando l’opportunità di posizioni tanto lontane da quelle sposate dall’ideologia della Giunta. Il Sindaco, infine, come in un meccanismo oliato, è intervenuto contro gli organizzatori della conferenza, prima cercando di annullare la discussione, affermando che “la storia non va interpretata”, poi ottenendo un “diritto di replica” con la presenza dell’assessore Francesca Briani e del giornalista vicino all’estrema destra Fausto Biloslavo.
Venute meno le garanzie di un dibattito storiografico, trasformato dall’amministrazione in una sorta di ring, che poco ha a che fare con gli obiettivi di chi studia quegli eventi, lo storico e il moderatore Andrea Franzoso hanno ritirato la propria presenza, e con loro la casa editrice DeAgostini, che forniva la piattaforma per l’incontro.
Non è la prima volta che l’amministrazione comunale cerca di censurare delle iniziative sul tema. In questi anni sono stati tanti i veti posti per impedire lo svolgersi di conferenze storiche sulle vicende che hanno segnato l’Alto Adriatico nella prima metà del Novecento. Già nel gennaio 2019 il Sindaco Federico Sboarina intervenne contro l’ANPI, minacciando il ritiro della concessione degli spazi comunali in cui ha sede l’associazione dei partigiani, in occasione dell’incontro con lo storico Federico Tenca Montini, dottore di ricerca presso l’Università di Teramo e Zagabria e membro del Consiglio direttivo dell’Istituto Regionale per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea nel Friuli Venezia Giulia. Sempre nello stesso mese, il Comune impedì, dopo alcune pressioni di Forza Nuova e usando la scusa di un vizio di forma, l’uso di una sala civica per un incontro organizzato da alcune forze politiche con la storica Alessandra Kersevan, esperta di campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi.
A un anno di distanza, nel gennaio 2020, lo stesso accadde allo storico Sandi Volk, per una conferenza dal titolo “Storia del Confine Orientale. Esodo Istriano e dintorni. Spostamenti di popolazioni in Istria e Trieste”. In quell’occasione, tuttavia, le censure dell’amministrazione furono legittimate da una mozione firmata dal Consiglio comunale il 7 febbraio 2019. Quel giorno venne approvata con ampia maggioranza (con l’unica astensione di Michele Bertucco e Federico Benini) la mozione 862, primo firmatario Andrea Bacciga, “per ricordare la tragedia delle foibe coinvolgendo sempre l’associazionismo istriano, fiumano e dalmata o testimoni diretti”. Con questa mozione il Comune si è impegnato a non autorizzare eventi che “minimizzano” o “siano oggetto di teorie negazioniste o giustificazioniste”. E’ richiamando quest’ultima che Andrea Bacciga ha firmato negli scorsi giorni la mozione 1863 per impegnare il Comune a intervenire sull’incontro con lo storico Eric Gobetti, chiedendo che il relatore fosse cambiato.
Nel 2021, invece, fu l’intervento di Camilla Velotta, presidente della Consulta provinciale studentesca, a suscitare le ire delle forze di estrema destra e gli strali del Sindaco. Velotta, richiamando il contesto della seconda guerra mondiale e i crimini fascisti, inserì le vicende del nostro confine orientale alla fine della seconda guerra mondiale in un quadro articolato. Una ricostruzione, in tutta evidenza, non gradita.
Fermando lo sguardo ai soli ultimi tre anni di celebrazioni, emerge un quadro tetro in cui il potere politico decide cosa è lecito ricordare e cosa no, imponendo la propria autorità. Una lettura parziale e faziosa della storia del nostro confine orientale è usata dall’estrema destra italiana per legittimare una propria ricostruzione della storia nazionale. Una ricostruzione che prende di mira le fondamenta della Repubblica italiana, cioè la resistenza e i valori antifascisti su cui è fondata la Costituzione.
Una ricostruzione che ormai si è fatta narrazione pubblica, con il beneplacito di tante forze politiche che in questi anni non hanno riconosciuto l’operazione culturale e hanno sdoganato la propaganda neofascista. Una ricostruzione colma di stereotipi, fatti inventati, ed eventi decontestualizzati che si scontra con anni di studi sul tema che, pur in un dibattito ricco, hanno articolato in modo chiaro molti passaggi di quei tragici anni.
Il problema, dunque, non è il dibattito storiografico sulle foibe. Ai risultati della commissione italo slovena istituita negli anni Novanta dai rispettivi ministeri degli Esteri, in questi anni si sono affiancati molti studi rigorosi, tra cui si possono citare, oltre alle ricerche degli storici banditi dall’amministrazione, i lavori di Marina Cattaruzza, Joze Pirjevec, Raoul Pupo, Rolf Worsdorfer, Costantino Di Sante, Nevenka Troha etc. Il problema è il veto politico creato attorno alla discussione su queste vicende, in un gioco di contrappesi rispetto alla storia della Shoah e dei crimini nazi-fascisti. Il tentativo è quello di equiparare due vicende diverse e complesse, nate da cause differenti seppur vicine nel tempo, trasformando i fascisti in vittime tout-court e spogliandoli dalle loro responsabilità per trasformarli in generici “italiani” colpiti in quanto italiani.
Guardando agli eventi organizzati o patrocinati dal Comune di Verona per il Giorno del Ricordo di questo 2022, è difficile quindi non leggere una volontà mistificatoria. Negando l’uso di spazi pubblici a studiosi esperti in materia, l’amministrazione ha preferito concedere il proprio sostegno a iniziative di ben altro tenore. Martedì 8 febbraio è stato presentato nella Sala Arazzi di Palazzo Barbieri il libro a fumetti di Stefano Zecchi, ex professore di filosofia e candidato alle elezioni regionali con il Partito dei Veneti. Il volume è stato pubblicato dalla casa editrice di estrema destra Ferrogallico, fondata da due esponenti di Forza Nuova e dal cantante di area nazirock Federico Goglio, il quale ha curato l’adattamento del libro di Zecchi.
Giovedì 10, invece, è stato concesso il patrocinio del Comune per un evento di Reazione Identitaria, il cui presidente è l’assessore alle attività economiche Nicolò Zavarise: durante la serata è stato discusso il libro autopubblicato di Gianfranco Stella, già condannato per diffamazione nei confronti di Arrigo Boldrini, partigiano insignito della medaglia d’oro al valor militare. A contornare queste scelte l’amministrazione ha concesso l’uso di una piazza per la commemorazione al gruppo di ispirazione nazista Veneto Fronte Skinheads e ha patrocinato il concorso per le scuole “Piccola Caprera” in ricordo del fascista Fulvio Balisti. In risposta alle critiche ricevute, l’assessore al decentramento Marco Padovani ha dichiarato che l’iniziativa “punta a stimolare nei più giovani il senso di appartenenza alla Nazione”, utilizzando così una retorica che ricalca la propaganda mussoliniana che puntava a sovrapporre appartenenza al Fascismo con appartenenza all’identità nazionale.
Sarebbe ingenuo pensare che ciò che accade a Verona sia un unicum. Da più di vent’anni la storia del nostro confine orientale è strumentalizzata dall’estrema destra, che è legittimata in questa narrazione dalle forze politiche moderate. Già nel 1998, quando l’allora Presidente della Camera Luciano Violante – parlamentare dei Democratici di Sinistra – incontrò a Trieste il leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini per una “pacificazione nazionale” sul tema delle foibe, decine di storici insorsero contro una narrazione definita mistificatoria. Negli anni, in occasione delle commemorazioni, si è marcata una sempre più netta inversione rispetto ai valori repubblicani.
Dunque Verona non è sola, ma con la mozione 862 del 7 febbraio 2019 ha giocato il ruolo di apripista nazionale. A poco più di un mese di distanza è seguita, infatti, l’approvazione di una mozione con cui il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia si impegna a “sospendere ogni contributo finanziario, patrocinio o concessione a beneficio di soggetti pubblici e privati che, direttamente o indirettamente, concorrano con qualunque mezzo a negare o ridurre il dramme delle Foibe e dell’Esodo”. Sotto attacco è finito il “vademecum per il Giorno del Ricordo” dell’Istituto Regionale per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, che vede tra i propri estensori lo storico Raoul Pupo, in questi anni spesso assurto a punto di riferimento per la ricostruzione della storia delle foibe. Nonostante Pupo stesso abbia in più occasioni avallato l’etichetta di “negazionista” o “riduzionista” nei confronti di altri studiosi, anche lui è finito nella gogna mediatica dell’estrema destra e nelle mire censorie delle sue propaggini politiche.
Mire che si sono consolidate anche nella Regione Veneto con l’approvazione, il 23 febbraio 2021, della mozione 29 con cui la Giunta si impegna a sospendere “ogni tipo di contributo a favore di tutte quelle associazioni che si macchiano di riduzionismo e/o di negazionismo nei confronti delle foibe e dell’esodo istriano fiumano e dalmata”. A poco è valsa la lettera di decine di studiosi e studiose di storia italiani che hanno chiesto al Presidente Mattarella di “vigilare affinché scelte politiche come le mozioni approvate in Veneto e in Friuli Venezia Giulia non compromettano” il difficile percorso nella costruzione di una memoria pubblica europea “e soprattutto non avvelenino il dibattito pubblico che deve poggiare su basi scientifiche”.
Le norme sancite in questi anni provano dunque a consolidare, da un punto di vista legislativo, un obiettivo già in parte raggiunto in termini culturali e che nel 2012 Eric Gobetti sintetizzava in modo chiaro in un articolo scientifico sul tema: capovolgere le accuse di crimini di guerra contro gli jugoslavi, decolpevolizzando e sminuendo l’operato dell’Italia fascista, criminalizzando il fenomeno resistenziale. “I rapporti italo-jugoslavi durante la seconda guerra mondiale – scrive lo storico – appaiono capovolti rispetto alla realtà: sono gli slavi, barbari e comunisti, ad avere invaso territori italiani e non, viceversa, i fascisti italiani ad avere occupato e smembrato lo stato jugoslavo”.
Un’operazione grave da un punto di vista storiografico, in cui la ricostruzione degli eventi storici è capovolta, mistificata e abusata a fini politici. Già nel 2004 lo storico Silvio Lanaro denunciava l’espandersi di temi “tabù” nel dibattito pubblico che, se lasciati correre, avrebbero degradato il “métier d’historien, per quanto artigianale possa essere, a salameria degli idola fori o dei poteri costituiti”. Tra questi “tabù”, non a caso, nominava le foibe. E oggi questa salameria è davvero ben fornita, come abbiamo visto con gli eventi patrocinati o organizzati dal Comune di Verona.
Ma l’operazione è altrettanto grave da un punto di vista politico. Quando venne proposta una legge contro il negazionismo della Shoah, alcuni dei più importanti storici italiani insorsero affermando che non era la strada della verità di Stato quella utile a contrastare fenomeni di mistificazione e falsificazione. “E’ la società civile”, scrivevano nel 2007, “che può creare gli unici anticorpi”. Ma in assenza di una solida ricostruzione storiografica, la “storia delle foibe” – come è volgarmente minimizzata con un gergo di uso comune, utile politicamente – si impone con la censura di chi, con gli strumenti della ricerca, insiste a voler ricostruire un quadro scientificamente valido di quelle vicende.
L’espandersi di una legislazione censoria ci dice però che l’operazione falsificatoria sulla storia del nostro confine orientale non è ancora riuscita del tutto, altrimenti non esisterebbe la necessità di bandire e zittire con la forza della legge chi da anni si impegna nello studio di queste tragiche vicende. La partita, dunque, non è chiusa.
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