Proponiamo in traduzione un estratto di un articolo di Alessandra Montalbano che ripercorre la tre giorni “Verona Città Transfemminista”
Organizzata da Non una di Meno in risposta al 13° World Congress of Families, mette in luce il modello di attivismo che ne ha permesso il successo politico e la grande partecipazione cittadina. Quando, nell’ottobre del 2018, Brian S. Brown, presidente del World Congress of Families (WCF), ha annunciato che il tredicesimo convegno annuale della sua organizzazione – definita un “hate group” dal Southern Poverty Law Center (SPLC) a causa della sua ideologia anti-LGBT – avrebbe avuto luogo a Verona, in Italia, dal 29 al 31 marzo 2019, probabilmente credeva di aver trovato il luogo ideale per una conferenza di tre giorni sulla “famiglia naturale” (un uomo eterosessuale e cisgenere sposato con una donna eterosessuale e cisgenere e i loro figli biologici).
Oltre a essere globalmente conosciuta come la città dell’amore, Verona era appena ufficialmente diventata la prima città “pro-life” in Italia, e questo sembrava promettere un’accoglienza favorevole al WCF e al suo programma politico reazionario. Eppure, la Verona che è diventata visibile al mondo quel marzo non è stata la città ufficialmente “pro-life”, come sperava Brown, ma al contrario la sua avversaria e progressista Verona Città Transfemminista. Mobilitazione di tre giorni organizzata dal gruppo territoriale del movimento femminista Non Una Di Meno (NUDM), Verona Città Transfemminista è stata la prima protesta pubblica organizzata durante un convegno WCF. Con un corteo di più di 100.000 persone da tutto il Paese e non solo, il 30 marzo NUDM è stata in grado di portare nelle strade la più grande manifestazione mai vista a Verona.
I media locali, nazionali e internazionali hanno descritto con simpatia e supporto questo evento inaspettatamente grande, definendolo pacifico, colorato, gay e pieno di energia. Tuttavia, Verona Città Transfemminista non ha solo fatto la storia della città. Trasformando Verona nel primo laboratorio transnazionale di NUDM, le organizzatrici locali hanno fatto la storia anche del movimento femminista. Solo passeggiando per le strade di Verona, si potevano notare i punti di incontro creati dalle organizzatrici per discussioni, mostre e spettacoli attraverso i quali abitare la città secondo una visione femminista della società. Il risultato è stato uno spazio sociale aperto e inclusivo nel quale le/i partecipanti potevano sentirsi parte di un progetto in costruzione.
La solidarietà femminista come modello di attivismo
Una marea di femministe vestite dei colori di NUDM, fucsia e nero, e di quelli dell’arcobaleno della comunità LGBT è arrivata da tutta Italia per riprendersi Verona. Mentre la “città laboratorio dell’estrema destra” (etichetta che Verona si è guadagnata a livello nazionale) era barricata all’interno del Palazzo della Gran Guardia, circondata dalla polizia, la città transfemminista creava spazi liberi dall’oppressione del sistema neoliberale e patriarcale.
Tra gli eventi c’erano anche due mostre: una narrazione della violenza dell’estrema destra e della resistenza veronese attraverso fotografie e scritti e un progetto artistico, intitolato Femminismi Manifesti, consistente nel rifacimento di storici poster femministi ad opera di artiste contemporanee. Il programma includeva inoltre tre presentazioni di libri sull’esperienza trans, il tabù del ciclo mestruale e le donne e la regressione in Europa, così come tre proiezioni di documentari sulla comunità LGBTQI in Uganda, l’aborto e il desiderio e la disabilità. Il calendario presentava anche un evento rivolto a bambine e bambini, la lettura di un fumetto sui diversi tipi di famiglia.
Oltre a libri e arte, Verona Città Transfemminista offriva due laboratori sulla pedagogia e sullo sciopero dei/dai generi, due spettacoli teatrali intitolati Il corpo lesbico e Corpi impuri, e un incontro con ricercatrici internazionali sul “Ruolo del gender e della famiglia nella mobilitazione e nelle politiche della destra. Solidarietà femminista e prospettive rivoluzionarie”. “Il programma è stato disegnato da NUDM Verona, ma la tre giorni è stata il risultato di una collaborazione più ampia. NUDM Bologna, per esempio, si è occupata della grafica.” NUDM Bologna ha anche organizzato i due laboratori, mentre Femminismi Manifesti è stata allestita da NUDM Vicenza. “Quando abbiamo contattato NUDM Italia per mobilitarci contro il WCF”, continua Sebastio, “erano molto occupate a organizzare lo sciopero delle donne dell’8 marzo. Tuttavia, appena finito lo sciopero la loro attenzione ed energia sono state rivolte completamente a Verona”. Il corteo di 100.000 persone e il primo incontro transnazionale di NUDM – con oltre 400 partecipanti – del giorno dopo ha reso questo impegno e i suoi effetti evidenti a chiunque.
Una democrazia solidale alla donna
La parola chiave per descrivere questo modello femminista è “solidarietà”, termine che non a caso appare insieme ai termini “prospettive rivoluzionarie” nel titolo della conferenza internazionale. Ciò che NUDM difende e pratica è la possibilità di creare spazi di libertà: liberi perché si collocano al di fuori della logica capitalistica del profitto e dello sfruttamento e perché si tratta di spazi inclusivi in cui tutte le diverse soggettività possono autodeterminarsi e interagire. La solidarietà tra persone, associazioni e organizzazioni che ha reso possibile la città transfemminista è un’economia del desiderio.
Oltre a essere un modello di protesta, l’attivismo della città transfemminista è il modello di una cittadinanza che sta alla base di una democrazia impegnata. Contro l’imposizione della costruita e artificiale “famiglia naturale”, nucleo dei regimi autoritari, le società democratiche hanno oggi bisogno che le loro cittadine e i loro cittadini si mobilitino per resistere. È questo il significato di ciò che il transfemminismo chiama “stato di agitazione permanente”. L’Assemblea Pubblica, dove le persone si riuniscono per discutere e decidere, è lo strumento politico di questo tipo di cittadinanza. Benché differenti dai gruppi di autocoscienza femminista degli anni Settanta, poiché aperte a tutte le soggettività, anche le assemblee pubbliche considerano il personale politico e diffondono consapevolezza attraverso relazioni, sapere e cultura.
Il giorno dopo il corteo di NUDM, Salvini ha dovuto dirsi pubblicamente a favore della Legge 194 (che permette l’aborto), Pillon ha dovuto sospendere il suo DDL e Boldrini ha potuto far approvare la legge contro il revenge porn. L’effetto di Verona Città Transfemminista è stato quindi politicamente più forte di quello del WCF. Eppure, l’attivismo che il WCF rappresenta e continuerà a mettere in atto, trae la sua forza dal fatto di eleggere parlamentari che influenzeranno e cambieranno il sistema secondo la sua visione.
Una marea di persone ha risposto al WCF, al Consiglio comunale di Verona, alle sue politiche pro-life e al saluto romano del suo consigliere di estrema destra. Hanno urlato all’unisono “Siamo tutte antifasciste!” e cantato “Questa mattina mi son svegliata” – la canzone della resistenza antifascista degli anni Quaranta – al femminile (anche i numerosi uomini presenti). Le organizzatrici veronesi di NUDM sono state in grado di far marciare un’Italia forte della sua storia, per sottrarre Verona al laboratorio dell’estrema destra e resistere contro la minaccia globale alla democrazia liberale. Il PD e gli altri partiti e unioni di sinistra hanno partecipato al corteo senza simboli identificativi. Saranno in grado di attrarre questa energia e rappresentare una società civile che si riconosca nel femminismo? Nel frattempo, NUDM ha un piano.