CULTURA

La vera identità delle vittime di Pompei rivelata da uno studio innovativo sul DNA antico

Un recente studio ha acceso riflettori nuovi su Pompei, la celebre città sepolta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Pubblicato sulla rivista Current Biology, il lavoro di un team italo-statunitense ha rivelato sorprendenti risultati sul DNA antico delle vittime, analizzando calchi di gesso conservati. Grazie alla collaborazione di ricercatori delle università di Harvard e Firenze, sono emerse informazioni inaspettate che cambieranno come vediamo questi tragici eventi storici. I dati ottunuti mettono in discussione molte delle interpretazioni tradizionali, portando a una rivisitazione della storia di Pompei.

Spesso, i calchi delle vittime dell’eruzione sono confusi come fossero corpi fossilizzati, ma in realtà si tratta di sculture realizzate in gesso. Questi calchi sono il risultato di un processo di colata che coinvolge una miscela di acqua e gesso versata nelle cavità formatesi nel terreno, dove una volta si trovavano i tessuti molli delle persone. Una volta solidificati, questi calchi catturano la posizione in cui l’individuo è morto, creando così un’immagine drammatica di quell’attimo fatale.

La maggior parte di essi è stata creata nel XIX secolo, in un’epoca caratterizzata da metodologie archeologiche che differivano enormemente da quelle attuali. In effetti, per rendere le pose più impattanti per il pubblico, alcuni calchi subirono modifiche artistiche, spesso accompagnate da storie e narrazioni costruite ad hoc. Questo ha reso la rappresentazione delle vittime non solo una questione di scienza, ma anche di una certa dose di spettacolarizzazione.

In sostanza, quello che oggi consideriamo un tesoro culturale è nato anche da pratiche che oggi potrebbero sembrare poco ortodosse. I calchi delle vittime di Pompei, perciò, non solo offrono uno sguardo sulle modalità di morte di quelle persone, ma ci parlano anche di come la cultura dell’epoca metteva in scena la tragedia e il dolore, influenzando la nostra comprensione contemporanea della storia.

Le sorprese nello studio sul DNA delle vittime

Il team di ricercatori ha analizzato il DNA di sette individui, tra cui alcuni provenienti dalla nota “Casa del bracciale d’oro“. Questa dimora, scoperta nel 1974, conteneva i resti di quattro individui, da cui sono stati estratti dei calchi. Tradizionalmente, si pensava si trattasse di una famiglia, composta da un padre, una madre e due bambini. L’adulto con il bracciale d’oro era interpretato come la madre con uno dei bambini in braccio.

Tuttavia, l’analisi del DNA ha svelato sorprese incredibili. Non solo questi individui non condividevano legami di parentela, ma l’adulto con il bracciale e il bambino in braccio era in realtà un uomo. Questo ribaltamento di narrazione suggerisce che le nostre comprensioni storiche basate su interpretazioni visive potrebbero necessitare di una revisione più profonda. Cosa può significare questo per la nostra comprensione della vita e dell’identità sociale nell’antica Pompei? È un’enigma affascinante e complesso.

Pompei (maloravista.it)

Un altro caso degno di nota è quello della “Casa del criptoportico“, dove durante gli scavi del 1914 furono rinvenuti i resti di nove individui. Le analisi genetiche hanno rivelato che due resti, inizialmente considerati i corpi di due sorelle, includevano un individuo di sesso maschile, mentre per l’altro non è stato possibile determinare il sesso. Questi risultati suggeriscono che le interpretazioni basate su sospetti visivi potrebbero non essere affidabili come si credeva.

Origine cosmopolita delle vittime di Pompei

Un ulteriore aspetto interessante riguarda l’origine etnica delle vittime. Lo studio ha mostrato che alcuni dei resti analizzati presentano legami genetici con popolazioni nordafricane e mediorientali, evidenziando la ricca diversità etnica di Pompei. Anzi, le vittime della “Casa del bracciale d’oro” avevano attinenze genetiche sorprendentemente lontane.

Particolarmente affascinante è scoprire che l’individuo con il bracciale d’oro non solo possedeva pelle scura, ma rifletteva la presenza di una società decisamente cosmopolita all’interno dell’Impero Romano. L’immigrazione e lo scambio culturale, ampiamente testimoniati in diverse ricerche, descrivono una Roma molto più integrata di quello che si potesse immaginare.

Queste evidenze non solo arricchiscono la nostra comprensione della vita sociale a Pompei ma pongono anche interrogativi su quanto fosse estesa e interconnessa la rete commerciale e culturale dell’epoca. La scoperta ha gli occhi fissati su un passato ricco di diversità, che sfida le nostre idee più rigide sulle società antiche. Ciò ci invita a riflettere su quanto poco sappiamo della storia e su come questa possa rivelarsi complessa e affascinante oltre ogni aspettativa.

Roberto Arciola

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