CULTURA

Liberare la democrazia. Per una politica oltre lo stato

Per avere una politica sana è necessario ripensare l’idea di democrazia, come libertà di espressione e di condivisione.

Pensare una politica oltre lo stato, in grado di rompere l’intreccio apparentemente indissolubile di proprietà privata, forma statal-nazionale e territorializzazione della cittadinanza. Questo l’ambizioso compito dell’importante Insurgent Universality. An Alternative Legacy of Modernity di Massimiliano Tomba, docente di filosofia politica presso la Santa Cruz University.

Il volume muove dall’urgenza pratica di liberare la politica dalla tradizione moderna dominante, nella quale i sistemi democratici liberali sono stati eretti a modelli universali e incontestabili, liquidando così altre forme di democrazia come residuali e «arretrate». Lungi dall’essere modelli teorici confinati alle dissertazioni accademiche, l’autore intraprende un’analisi storica accurata portando alla luce le tradizioni politiche rimosse della modernità, tracciando una «filosofia delle insorgenze dimenticate» che tanto possono dire di fronte alla crisi irreversibile delle democrazie contemporanee.

Una crisi nella quale lo stato di diritto e il bilanciamento dei poteri si stanno rivelando sempre più dei baluardi formalistici incapaci di arginare l’ascesa su scala planetaria di politiche securitarie e razziste da un lato, e il proliferare del capitalismo in ogni aspetto della vita dall’altro.

Per tentare di uscire da questo vicolo cieco apparente è necessario volgere lo sguardo al passato. Non in chiave mitico-populista, come pure buona parte del pensiero progressista rischia di fare di questi tempi, bensì cercando di riattivare e riportare nel presente quelle tradizioni radicalmente democratiche messe ai margini dalla filosofia della storia. Seguendo le orme di Walter Benjamin e Ernst Bloch, l’autore sottolinea l’importanza di «pluralizzare il tempo», al fine di decolonizzare la nostra visione monocromatica del politico.

Perché, si chiede l’autore, forme di democrazia diretta, assembleare e anti-capitalistica come quelle sperimentate durante l’ultima fase della Rivoluzione Francese, la Comune di Parigi, i Soviet Russi e l’esperienza Zapatista vengono rappresentate come arretrate e obsolete? Per il fatto che la narrazione dominante della modernità singolarizza il tempo, assumendo la forma stato e il capitalismo come gli unici esiti possibili della storia umana, cosicché «le forme politiche non statali diventano prestatali e le forme economiche non capitalistiche diventano precapitalistiche. In questo modo, l’enorme gamma di possibilità offerte dalle innumerevoli forme non capitalistiche si riassume nella definizione di forme arretrate o precapitalistiche.»

Una volta decolonizzato il nostro sguardo su queste esperienze storiche, saremo dunque in grado di scorgere non più «momenti devianti» rispetto alla storia (universale) dello stato e del capitale, bensì esperimenti-momenti che designano e indicano una tradizione alternativa della modernità. Queste pratiche politiche dei soggetti «senza storia» incarnano quella che l’autore definisce insurgent universality, che potremmo definire come universalità che insorge.

Essa «ha a che fare con l’eccesso democratico che scardina un ordine esistente e dà origine non al caos, come prescrivono le teorie del contratto sociale, ma ad un nuovo tessuto istituzionale. L’eccesso democratico è tale che va oltre l’armatura costituzionale dello stato rappresentativo e mette in gioco una pluralità di poteri a cui i cittadini hanno accesso, non attraverso l’imbuto della cittadinanza nazionale, ma nella pratica politica quotidiana.» In questa prospettiva la cittadinanza e i diritti non sono più una concessione dello stato in base a determinati parametri – etnici, di genere, di classe – ma una rivendicazione «qui ed ora» dei cittadini che con pratiche di autogoverno diretto affermano le loro soggettività specifiche e i loro bisogni.

È in questa prospettiva che l’insurgent universality si propone come alternativa radicale in grado di scardinare il cosiddetto universalismo (giuridico) moderno, ovvero quel rapporto unidirezionale tra stato e cittadino, nel quale lo stato è allo stesso tempo istituzione che garantisce e concede i diritti (umani), ma che allo stesso tempo lì può sospendere, più o meno arbitrariamente.
Partendo anche dal pensiero di Hannah Arendt e di Giorgio Agamben, tra i due pensatori più influenti del novecento che hanno lavorato sul rapporto tra individuo e comunità politica, l’autore cerca di pensare e dare forma a quella che potremmo definire come una politica oltre lo stato: «Arendt contempla così l’umano al di fuori della comunità politica come una forma di vita deprivata; non vede, o non è interessata a vedere, l’”umano” la cui agency politica supera e scardina l’ordine politico.
La posizione di Arendt è stata riformulata da Agamben, che presuppone che il concetto di uomo sia sussunto nel concetto di cittadino. Secondo Agamben, poiché l’essenza dell’homme risiede nell’appartenenza giuridica allo stato-nazionale, quest’ultimo può dichiarare lo stato d’eccezione e attraverso la deiurificazione radicale degli individui può ridurli allo status di homo sacer.
Da questa prospettiva si può sviluppare la teoria di uno “stato d’eccezione” generalizzato, ma non si può sviluppare alcuna idea di emancipazione.» L’operazione concettuale dell’autore è dunque volta a liberare la politica da questo rapporto apparentemente indissolubile, riconoscendo soggettività e forme politiche a partire dalla agency e dalla rivendicazione concreta degli individui che non debbano necessariamente essere sempre legittimati da un ordine politico “universale” e precostituito.

Attraverso un’analisi filosofico-politica dettagliata e originale che unisce i Sanculotti della Rivoluzione con la Comune del 1871, la costituzione rivoluzionaria del 1918 e gli Zapatisti, l’autore sottolinea come queste esperienze rappresentino laboratori politici che hanno saputo unire forme locali, complesse e plurali di autogoverno con un uso collettivo della proprietà, indicando un’eredità radicalmente diversa rispetto al tempo piatto e omologante dello stato e del capitale.

L’incapacità di immaginare un futuro veramente altro rispetto al presente arido del capitalismo e delle (post)democrazie contemporanee è direttamente proporzionale alla visione monolitica che la modernità ci offre delle forme politiche. Una volta rotta questa narrazione saremo in grado di scorgere altri mondi e modi di aggregazione/emancipazione che necessitano di essere riscoperti per essere rimessi in pratica. Il futuro è anche alle nostre spalle, avrebbe detto qualcuno.

Redazione

Recent Posts

La famosa autrice italiana presenta il nuovo libro: un’uscita imperdibile che parla dritto al cuore

Una famosa scrittrice ha recentemente annunciato l'uscita del suo terzo romanzo intitolato "Tutto può succedere",…

1 ora ago

Il Comune rimette a nuovo la città di Verona: stanziati 24 milioni per cambiare volto al capoluogo, partono i lavori

L'Amministrazione comunale di Verona ha recentemente approvato un importante stanziamento finanziario, destinato a rivoluzionare il…

7 ore ago

Il Verona cambia passo: presentata l’offerta ufficiale per il gioiello del Frosinone, è un talento cristallino

Il Verona è pronto a stupire tutti con un'operazione che potrebbe rivelarsi decisiva per le…

8 ore ago

Il tennis internazionale torna a Verona: il circuito ATP scegli la città scaligera per il prossimo torneo, evento unico

Il grande tennis fa il suo ritorno trionfale a Verona, precisamente all'ex Sporting Club Verona,…

9 ore ago

La Lazio svaligia l’Hellas Verona: dopo Noslin un altro big sta per lasciare, c’è già l’accordo

Il calciomercato estivo continua a regalare sorprese e colpi di scena, soprattutto per quanto riguarda…

14 ore ago

Acquedotti contaminati continua la paura: un’altra città a forte rischio, scattano i controlli dei tecnici

La comunità di Bardolino si trova ad affrontare una situazione di allerta legata alle possibili…

17 ore ago