Nel 2018, il termine “silenti Enasarco” ha cominciato a circolare tra le pagine di giornali e nei dibattiti televisivi, ma di cosa si tratta esattamente?
La vicenda ha a che fare con una vastissima schiera di professionisti—ben 700 mila tra agenti e rappresentanti di commercio—che si trovano in una sorta di limbo previdenziale, avendo versato migliaia di euro senza mai ricevere né rimborsi né pensioni. Questo articolo svela i contorni di una problematica complessa che coinvolge il sistema previdenziale privato, problemi di comunicazione normativa e le battaglie legali di chi cerca giustizia.
L’Enasarco, ovvero l’Ente Nazionale di Assistenza per gli Agenti e i Rappresentanti di Commercio, è una fondazione che si occupa della previdenza per un gruppo specifico di professionisti di un settore particolare. Gli iscritti, attualmente circa 200mila, sono spesso plurimandatari, significando che lavorano per più aziende contemporaneamente. Questi professionisti, che operano nella promozione e vendita di prodotti, contribuiscono al fondo pensionistico, sentendosi però traditi da un sistema che, a quanto pare, cambia le regole in corsa. Il termine “silenti” si riferisce a coloro che, dopo anni di contributi, si trovano privi di diritti dovuti a regole che sono state modificate senza un’adeguata informazione. Come finire in questa situazione? Tramite una serie di passaggi legislativi che hanno reso la pensione di Enasarco obbligatoria, costringendo i lavoratori a pagare sia il fondo internamente che i contributi all’INPS. Questo doppio contributo ha suscitato non poche polemiche e ha portato a una miriade di conflitti nel corso degli anni.
La storia delle modifiche normative
La questione previdenziale per gli agenti di commercio è chiaramente intrisa di complessità e anomalia. Nel periodo che va dal 1957 fino al 1966, l’INPS ha assorbito diverse casse previdenziali, modificando così il panorama normativo per gli agenti di commercio. Con il passaggio all’INPS, Enasarco ha dovuto adattare le sue procedure, diventando un ente previdenziale integrativo. Ma chi se lo sarebbe immaginato che il cammino si sarebbe complicato nel tempo? Le regole per maturare una pensione minima, inizialmente fissate a dieci anni di contributi, sono state progressivamente aumentate; prima a quindici e poi addirittura a venti anni, senza una comunicazione effettiva a chi partiva da presupposti diversi. È come un gioco di prestigio, dove invece di guadagnare, si finisce quasi sempre a perdere.
Negli anni Ottanta, bastava una contribuzione di dieci anni per ottenere il diritto a una pensione minima a 65 anni. Ma con il passare del tempo le cose sono cambiate. Oggi, per chi ha versato solo quindici anni di contributi, la sorpresa è stata scoprire che di pensione non se ne parla nemmeno. E così, un gran numero di contribuente, noti come “silenti”, si trova a dover affrontare questa dura realtà. Questo cambiamento ha avuto conseguenze ben più ampie, sfociando in una serie di battaglie legali con l’ente stesso.
I legali battaglie dei “silenti”
Chi vive il dramma dei silenti cerca giustizia attraverso vie legali, ed è qui che entra in gioco Francesco Briganti. Questo 72enne ha destato l’attenzione dei media non solo per la sua storia, ma anche per una protesta singolare: uno sciopero della fame. Da tanti anni ha contribuito con una somma non indifferente, circa 49mila euro, senza mai ottenere né restituzione né pensione. In un’incredibile sequela di eventi, è emerso come tanti si siano trovati allo stesso punto, ignari del fatto che le regole necessarie per ottenere i benefici avessero mutato. Tutto mentre loro continuavano a lavorare e a versare i loro contributi. Ma le istituzioni sembrano aver chiuso le porte, e questo ha portato a una frustrazione palpabile.
Briganti, e molti altri come lui, si sono ritrovati di fronte alla dura realtà di una giustizia che, fino ad ora, non ha riconosciuto le loro richieste. I tribunali hanno costantemente respinto le richieste, spiegando che, essendo Enasarco una fondazione privata, le regole possono essere cambiate e non necessitano di approvazione governativa. Come risolvere un problema così ampio e complesso, che coinvolge centinaia di migliaia di cittadini? Questa è la domanda che molti continuano a porsi.
La speranza di una soluzione politica
Nel contesto di tale ingiustizia, l’attenzione politica sembra essersi finalmente risvegliata. Recenti sviluppi, come l’ordine del giorno approvato in parlamento e presentato da Marco Furfaro del Partito Democratico, potrebbe rappresentare una svolta. L’intenzione è quella di sollecitare il governo a trovare una soluzione fattibile per i silenti. Ma cosa significherà concretamente? L’assegnazione di una rendita o il rimborso parziale dei contributi? Le possibilità sono innumerevoli, ma ognuna porta con sé grandi rischi e interrogativi sul futuro della fondazione.
Nel frattempo, la vita di chi ha versato denaro senza ottenere nulla in cambio continua. Le storie di questi “silenti” non sono solo numeri. Sono persone reali, con famiglie, sogni e speranze spezzate, spesso costrette a vivere un’inevitabile precarietà. Ogni giorno che passa, la loro situazione diventa sempre più complessa e incerta. L’epilogo di questa vicenda è tutto da scrivere, ma uno è certo: non si può ignorare la realtà di chi, in silenzio, ha versato e sperato in un avvenire più dignitoso.